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C'È UN SILENZIO CHE NON È ASSENZA DI RUMORE

Seduta all’imbrunire sull’erba dell’Eremo di Camaldoli, è Padre Ubaldo Cortoni, l’eremita bibliotecario, a raccontarmi di un silenzio «che non è assenza di rumore, ma consapevolezza di un suono. Un silenzio che ci fa prendere coscienza di chi siamo, che ci fa entrare in connessione con ogni cosa e che ci riempie di pace». 

Ubaldo sorride mentre spiega che nel mondo monastico c’è il termine ‘abitare secum’, abitare con se stessi, «che non è sopportarsi, anzi! Noi per lo più abitiamo le nostre stanze, il bosco, cioè occupiamo sempre un luogo fuori da noi, senza renderci conto che il primo posto dove risiedere è al nostro interno e che arrivare lì significa fondersi con il mondo esterno».

Vorrei fermarmi un’eternità su questa frase, ma nuove parole stanno già scorrendo. 

«Quando camminiamo nella foresta seguendo il nostro respiro, senza il divagare della mente, possiamo sentire la natura cioè possiamo diventare natura. Ecco allora la pace, l’assenza di combattimento interiore, la pienezza di tutto». 

“Noi possiamo diventare ogni cosa e trovare la pace”; queste parole scoperchiano l’immensità di Chi siamo e mi riportano al momento di un uomo che mi disse:

“Era tutto lì, in assenza di desideri, quando non manca nulla, il tempo è dilatato oltre i limiti dello spazio e l’esistenza prende forma in un’altra dimensione, suprema, dove tutto ciò che esiste nell’universo esiste anche nella persona. Ero uno e tutto” (tratto dal mio romanzo ‘Dentro le scarpe’)

L’eremita sorride serafico: «Se invece si cerca a tavolino lo stare da soli per trovare se stessi e il senso della vita, quello che si vive non è il silenzio, ma la fuga che porta alla rottura dei rapporti e a perdersi».

A questo proposito il bibliotecario racconta che nella regola camaldolese del 1080 sta scritto, anche per gli eremiti, che non è possibile trovare Dio da soli, ma solo insieme a chi ci è vicino. «Sembra un paradosso, ma per quanto pensiamo che il silenzio sia una forma di solitudine, non lo è.

È una forma di intesa e per intenderci abbiamo bisogno di qualcuno che impareremo a non percepire diverso da noi. Solo così tutta la vita diventa consapevolezza e quindi comunicazione armonica e totale con tutto e con tutti».

Una brezza leggera sfiora le cime degli alberi. Uno scoiattolo sale rapidissimo sul tronco di un abete bianco, mentre le parole di Ubaldo fluiscono: «Perché stare in silenzio? Perché significa sapere Chi Sono e con Chi Sono. Il silenzio rende chiaro ciò che spesso ci trascina da un’altra parte».

Rifletto sul nostro continuo rimbalzo da un impegno all’altro mentre le parole del monaco diventano musica: «Ascolta questi pini! Se non ci meravigliamo per le fronde degli alberi che il vento fa suonare ognuna in modo diverso, non ci sarà niente che potrà stupire la nostra vita.

Del resto, se siamo troppo pieni di qualcosa, siamo incapaci di concentrarci su di noi, di comunicare con l’esterno, di trovare la pace».

 Osservo il nostro fare quotidiano che si riempie di tutto tranne che dell’unica domanda: perché non riesco a trovare pace? Come se l’essenziale fosse trascurabile e la vita ridotta ad una corsa a ostacoli.

E se l’ostacolo principale fossimo noi? Beh… un po’ ci sarebbe anche da ridere.

Fotografia di Margherita Brunelli 

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