CHE FARE DELLA VITA SE CE N'È DONATO UN PEZZO?

Il mio amico Nicola era stanco, stanchissimo di lavorare a ritmo di quattordici ore al giorno in età già pensionabile, ma c’erano i dipendenti e senza di lui l’attività, che si era artigianalmente costruito, non aveva futuro.

Lo diceva ai suoi ragazzi che non ne poteva più, lo diceva alla figlia e agli amici ma la realtà era che, mentre dispensava parole, continuava a puntare la sveglia all’alba e a tornare a casa alle otto giusto in tempo per farsi la doccia, scaldarsi un pasto e svenire distrutto nel letto.

Chiudere l’azienda, tuttavia, richiedeva ulteriori energie e, al momento, sembrava meno impegnativo continuare a triturare chilometri e accettare commesse. 

Che fare? Nicola non è diverso da noi che fatichiamo con i cambiamenti. Stare nel conosciuto, anche non entusiasmante, è per tutti più facile che spostarsi nell’incognita del nuovo.

È per questo che tendiamo a restare imbrigliati nelle medesime situazioni per anni e, oserei dire, per generazioni.

Eppure l’abbiamo visto molte volte quello che accade quando non riusciamo a decidere e indugiamo troppo nella casella della ‘prigione’ sul Monopoli della nostra storia;

succede che qualcuno lancia i dadi al posto nostro e può capitare, come a Nicola, che un mattino, mentre stiamo lavorando su un ponteggio a cinque metri di altezza, cadiamo precipitando al suolo.

Le incognite possibili, in questo caso, sono: morte sul colpo, vertebre spezzate con conseguente sedia a rotelle, fratture e contusioni varie risolvibili con il dottor tempo.

A Nicola è toccata in sorte quest’ultima variabile e, dopo un soggiorno in rianimazione e ulteriori settimane in reparto, è tornato a “riveder le stelle”. 

Quando il reset arriva e siamo ancora qui a giocarci la partita, l’interrogativo che si pone è: cosa ne vogliamo fare della nostra vita ora che ce ne è stato regalato un altro pezzo?

Non serve cadere da cinque metri per tornare alla casella del ‘via’, a volte sfioriamo un incidente stradale ‘per un pelo’, altre perdiamo una persona fondamentale, altre ancora lo tsunami avviene sul lavoro, con un figlio, un animale, una malattia;

nessuno è esente dalle valanghe dell’esistenza che ci trascinano a valle insieme al nostro ammasso di detriti, quelli che prima evitavamo di vedere e che adesso ci ritroviamo conficcati nella carne.

È inevitabile, “ci sono dolori che sono slavine, tu rotoli in mezzo ai massi e non sai dove stai andando e se lo schianto sarà fatale, ma un po’ lo speri perché il tuo corpo è talmente straziato nelle membra e nel cuore, che quel che vorresti sarebbe solo una coperta nera calata su tutto. Ma non sta a te scegliere. Tu puoi solo rotolare sempre più giù, chiedendoti se prima o poi ti fermerai” (Tratto dal mio romanzo La Forza della Resa).

E noi?

Vogliamo scegliere consapevolmente o lasciar decidere alle fratture di ossa e cuore il nostro stop?

Siamo liberi. Liberi di guardarci dentro. Liberi di lasciar fare agli eventi. In ogni caso liberi di alzare gli occhi al cielo ed essere ancora capaci di un sorriso.

 

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#17settembre2022
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