LA FAMIGLIA: SOSTANZA O APPARENZA?
È il cappellino rosa a forma di barchetta ingentilita che balza all’occhio avvicinandosi al primo tavolo del ristorante a bordo lago. I commensali, distribuiti attorno alla circonferenza immacolata della tovaglia di lino, stanno attingendo a generosi vassoi di antipasti.
Ada si sporge all’indietro e, appoggiandosi alle spalle del marito, chiama sua cugina Giulia che è seduta un posto oltre lei. «Finalmente ci vediamo - esclama - ciao». Giulia ricambia il saluto. «Ti trovo proprio bene - frizza Ada - sei ingrassata».
«Tante grazie!» ribatte scocciata Giulia che, senza troppo dare nell’occhio, si alza e raggiunge il tavolo a fianco dove zia Carla sta borbottando a zia Bruna di quel cappellino rosa che proprio non si può vedere, «tipico gusto americano e poi ha sbagliato il colore del rossetto che tira all’arancione; le americane non sanno cosa sia il buon gusto e pretendono di insegnarlo a noialtre».
Giulia ha sentito abbastanza e, sfiorando le velette delle zie, si sposta all’altro tavolo dove il cugino di Roma sta parlando del parente seduto vicino al banco bar che «quarant’anni fa ha venduto i titoli per comprare casa alla badante fregandosene dei figli». Giulia procede oltre dirigendosi verso i nonni.
Nonna Gilda ha appena fatto scorta nel piatto di gamberetti e, dopo averne messo in bocca uno e aver esclamato quanto disgustoso sia, li sta offrendo alla consuocera che risponde: «Grazie tante, tieniteli pure».
Nonno Alfredo, indicando la nipote che si è messa in piedi, commenta: «Quella non ha nemmeno aspettato che sua madre diventasse fredda per venderle la casa. Assassina!»
La frase viene interrotta da John, il cugino americano che, spostatosi in mezzo alla sala, ha iniziato a parlare. È un medico, un uomo in gamba e molto simpatico. Ogni anno organizza una vacanza in Italia che culmina con l’invito a pranzo di tutti i parenti.
«La mia bella famiglia italiana - esordisce facendo scorrere lo sguardo pieno d’amore sui 50 convitati - solidale e in armonia, voi sì che vi volete bene. In America è diverso, non c’è questo senso di appartenenza alle radici, questo legame sacro - John ha il viso rigato di lacrime - Promettetemi che resterete sempre così: disponibili gli uni con gli altri e soprattutto uniti».
L’applauso scroscia e mentre la parola “assassina” del nonno aleggia ancora nell’aria, John, commosso, inizia a fare il giro dei tavoli per abbracciare tutti personalmente.
Quante famiglie esistono? Quella che sente John e che rispecchia lui o quella che ognuno di noi mette in scena? La famiglia è fatta da legami di sangue o da cuori sintonizzati sul volere il meglio per l’altro? ‘Casa’ è dove abitiamo o dove ci capiscono?
Anche se spesso ci sentiamo più vicini agli amici che ai parenti, il luogo degli intrecci primari e dei nodi da sciogliere, la linfa che ci scorre nelle vene è la famiglia di sangue.
Prima la si penetra, accetta e comprende, prima si inizia a vivere perché, oltre a essere “l’associazione istituita dalla natura per provvedere alle necessità dell’uomo (Aristotele)”, la famiglia è la cellula primordiale che contiene tutte le risposte, la nostra palestra di evoluzione, l’essenza di chi siamo e di chi diventeremo.
Negarlo non ci aiuterà.
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