LE SFIDE SONO BARRIERE O TRAMPOLINI?

Australia. «Sono un emigrato greco di 27 anni con moglie e figlie piccole. Sono stato assunto in Qantas come impiegato per mansioni di poco conto e di sera lavoro come cameriere. Non ho potuto fare grandi studi, ma mi considero fortunato per non essermi dovuto liberare di troppa zavorra intellettuale.

Di notte divoro libri di diritto, contabilità e statistica (mi sono iscritto all’università), ma sento altresì il bisogno di nutrirmi della voce dell’età classica, quella di generazioni di saggi e giganti del pensiero che forgiarono le idee più audaci che, attraverso l’oceano del tempo, sono arrivate fino a noi. T

uttavia, nonostante le centinaia di pagine lette, comprendo come queste mi abbiano sì descritto una canna da pesca, ma non insegnato a pescare».

1973. Prima lezione di pesca: riunione generale dei dipendenti Qantas. «Il direttore, che vedo come un astro lontano e irraggiungibile, cerca un volontario che, extra orario lavoro, si dedichi a informatizzare la compagnia.

È un progetto di vitale importanza da portare a termine in poco tempo e sono richieste abilità informatiche in un momento in cui i computer sono quasi sconosciuti. Il rischio di non farcela è troppo alto e nessuno si propone.

Io sono sottosopra, ogni singola cellula del mio corpo vibra di fronte all’impossibilità di quell’impresa ma non per paura, bensì per l’eccitazione di una sfida irripetibile.

Mentre una voce interiore mi ricorda che neppure so da dove cominciare, un’euforia bruciante mi monta dentro a un ritmo sempre più intenso fatto da due parole potenti e chiare: “Voglio farlo”.

Se il destino esiste, questo è l’appuntamento che ha fissato per me. Alzo la mano e, nel mio stentato inglese, esclamo: “Me do it" (me, lo faccio).

Compro un libro e in due giorni imparo a programmare in Fortran, studio i parametri del sistema e sviluppo alcune soluzioni. Dopo 21 giorni presento il primo prototipo funzionante di quanto richiesto. Sei mesi dopo, in Qantas, mi considerano un dio.

Vengo promosso e posso così lasciare il lavoro serale al ristorante.

Da quel giorno “Me do it" simboleggia il non sentirmi minacciato da ciò che è nuovo e sconosciuto. Questa affermazione mi ha spalancato incredibili opportunità ed è diventata il mio grido di battaglia quando mi sono trovato a cimentarmi con imprese apparentemente insormontabili». 

Le parole di questo racconto sono tratte, arrangiandole, dal libro di Stefano d’Anna “Un sogno per l’umanità” e il protagonista è George Koukis un uomo che, senza mai perdere la direzione e l’integrità del Sogno, ha creato un impero industriale dal nulla;

trovo contengano una spinta propulsiva potente per quando dobbiamo decidere cosa fare degli eventi che ci piovono addosso: trampolini di lancio che ci sveleranno lati inediti di noi, o barriere chiodate che ci bloccano laddove siamo?

Senza attendere riunioni generali o comunicati ufficiali, chiediamoci cosa stiamo facendo della sfida imperdibile, forse la più grande, quella che si sveglia con noi ogni mattina per chiederci:

«Vuoi darti il permesso di essere felice con quello che c’è?»

La nostra risposta è importante perché il resto, il nostro cavalcare il giorno con il sorriso o il muso duro, succederà di conseguenza. 

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#17giugno2023
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