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NON SIAMO SOLI. NON LO SIAMO MAI
«Da dove vieni?» chiede Renato all’uomo seduto dall’altro lato del corridoio centrale del Boeing diretto a Dacca, in Bangladesh.
«Da Aurland, la cittadina norvegese famosa per avere la galleria più lunga del mondo: quasi 25 km» risponde Daven il cui nome, per un caso o un destino annunciato, significa ‘uomo che è amato’.
«Del tunnel non sapevo, ma ho sentito parlare del pinguino brigadiere generale del vostro esercito» dice Renato.
Daven sorride: «Certo! Il nostro pinguino colonnello-in-capo; al momento abbiamo Sir Nils Olav III». L’uomo racconta di essere un ricercatore: «Il 98% dell’energia che consumiamo in Norvegia - afferma - è rinnovabile e il nostro obiettivo è diventare carbon neutral entro il 2030».
«Per coerenza potreste però evitare di arricchirvi esportando il vostro petrolio e il gas» commenta Renato.
Daven ridacchia e cambia discorso: «Tu di cosa ti occupi?»
«Io e la mia famiglia siamo missionari» risponde Renato schiacciandosi contro il sedile per presentare all’uomo moglie e figlia.
Cambio di scena. Il norvegese si rabbuia e, tagliente, afferma: «Grazie per non rivolgermi più la parola. Non sopporto i missionari».
Renato, sorpreso, fa un cenno affermativo con il capo e il dialogo si chiude lì, dietro i misteriosi confini dei preconcetti umani.
Scossone. Altro scossone. Si illuminano i simboli delle cinture e tutti se le allacciano. Le hostess corrono ai loro posti. Nessun avviso da parte del personale di bordo.
Non si capisce cosa stia accadendo, ma una cosa è certa: l’aereo sta precipitando. Nell’abitacolo volano libri e bicchieri mentre Renato, abbracciato ai suoi cari, recita ad alta voce il salmo “Tu che abiti al riparo dell’Altissimo…”.
Il panico di quei minuti è una morsa di terrore e impotenza che stritola una manciata di uomini e donne accomunati dallo stesso appuntamento.
Arrivati attorno ai 2000 metri di quota, l’aereo smette di cadere e il comandante, che si era visto comparire una crepa sul vetro della cabina di pilotaggio, riesce a fare un atterraggio di emergenza in un aeroporto indiano.
Traumatizzati dall’aver sfiorato il confine fra la vita e la morte, i passeggeri vengono accompagnati in un albergo ed è qui che il norvegese si avvicina a Renato. «Scusami - balbetta turbato - sono stato arrogante perché per me i missionari sono solo colonizzatori - Renato sorride.
L’uomo continua - Ma è successo che, mentre precipitavamo e voi pregavate, ho visto un bagliore incredibile avvolgervi. Era un alone d’oro splendente, ma non era solo luce, era… era amore. Adesso so che non siamo soli ma… chi è Dio?»
Già: chi è? Colui che, scrive Manzoni, “non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande?”
Il mistero mi si attorciglia addosso, lo dipano pensando a quell’attimo sacro che divide il nostro esistere fra il prima e il dopo il momento in cui, sperimentando d’essere amati, diventiamo schegge di gioia. E voliamo.
Siamo pronti per il decollo? Ovunque andremo, una sfavillante sfera dorata ci accompagnerà.
Chiamiamola come vogliamo ma, con il volto rivolto al sole, impariamo a sentirne il calore e la sconfinata dolcezza perché anche noi, come Daven, non siamo soli. Non lo siamo mai.
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