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A FAR LA DIFFERENZA È L'INSETTO O SIAMO NOI?
Ogni giorno incontriamo insetti di vario tipo, alcuni dei quali ci arrivano proprio addosso; se ci si posa sul dito una coccinella, ci sentiamo leggeri quasi fosse una gentilezza ricevuta, ma una mosca che prende di mira il nostro naso è fastidiosa come un ricordo che ci disturba.
Se siamo tormentati da un pensiero ricorrente, ci grattiamo di continuo punti da una zanzara, ma se dentro di noi ospitiamo un dolore antico o una rabbia ostinata, quella sarà una zecca il cui rostro, penetrata la cute, è entrato in profondità per succhiarci sangue e sorrisi.
La differenza la fa l’insetto o la nostra reazione al suo contatto?
Margherita, quando ha un tormentone che la assedia, insorge con un «Sono stufa di star male, basta!» E si scrolla di dosso il problema.
Luca, invece, i fastidi li rimugina per giorni, mesi, anni, incapace di sganciarli. L’una può affrancarsi dalle seccature perché le vede disgiunte da sé, l’altro diventa un tutt’uno con ciò che lo molesta.
Riusciamo, infatti, a lasciar andare un peso quando è una mosca che si appoggia alla superficie della nostra persona.
Se, invece, siamo preda di assilli trapananti, quelli non sono più problemi a fior i pelle, ma zecche infiltrate nella carne.
A quel punto non c’è più separazione fra lo star male e noi, il sangue della zecca si mescola al nostro e diventa parola quando affermiamo: «Sono triste, sono arrabbiato», cioè «Sono una zecca».
Quel ‘sono’ che ci identifica con l’insetto-emozione, inoltre, non ci permette di eliminarlo perché sarebbe come strapparci un braccio o una gamba. E a nessuno piace vivere senza un arto.
Domanda: siamo pronti a lasciare che nuove gemme fioriscano sui rami del nostro tronco?
Mi balza in mente la domanda che Gesù pone al paralitico di Betesda: «Vuoi tu guarire?» Sembra un’ovvietà ma non lo è, perché la decisione parte da ognuno di noi ed è come se ci venisse chiesto: vuoi cambiare e accettare le conseguenze della tua trasformazione?
Chiediamocelo.
La moviola della vita scorre insieme ai nostri pensieri che la percorrono avanti e indietro in un loop inutile e incessante che, fra l’altro, non ci porta né avanti né indietro, e mentre gli uccellini di questa primavera cinguettano festosi la rinascita, noi, persi nella nebbia mortale di ricordi e chimere, rischiamo di non sentirli nemmeno.
Eppure i loro trilli e gorgheggi riescono a farsi spazio persino fra i rumori del traffico, se solo ci fermiamo, alziamo gli occhi alle fronde e lo viviamo davvero, quell’attimo.
Nella stagione in cui tutto si rinnova, è più facile innescare un nuovo germoglio, ma facciamolo prima che scenda la notte perché “ognuno sta sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole, ed è subito sera (S. Quasimodo)”.
Anche oggi, “sul cuor della terra”, ci saranno uccellini in festa e insetti molesti, anime venuste come Margherita e altre oppresse come Luca, e ci saremo noi e la nostra libertà di non permettere ai crucci esistenziali di far breccia nelle nostre cellule.
Noi e i nostri cuori gonfi d’amore.
Noi, indomiti portatori di luce.
Noi, bellissimi.
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