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SE LE FESTE CI OBBLIGANO AD ESSERE FELICI
Le due donne sono sedute in una pasticceria bresciana. Le festività natalizie stanno scollinando e per loro è tempo di bilanci.
“«Milva, senti, pensiamo al nostro Natale. Qualcuno ci ha stretto forte dicendoci dal profondo del cuore “Ti amo”? Intendo qualcuno di quelli importanti, tipo Giulio per te e mia madre per me?»
Una lacrima scivolò sulla guancia di Milva che veloce la asciugò sistemandosi i lunghi capelli castani con naturalezza. Veronica continuò: «Le feste, io le odio, perché sembrano obbligarci a essere felici, a essere famiglia.
Io ti ho detto che è stato bello e divertente, ed è vero, ma guardavo mia madre che aveva occhi e parole solo per Tommaso osannando il suo successo in Statistica - sorseggiò un goccio di caffè - e notare che ha preso diciotto al terzo tentativo.
Io mi sono laureata in tre anni e una sessione con centodieci e lode e mai, dico mai una volta (…) che mi abbia detto “Brava Veronica, sono orgogliosa di te”.
Quello si ubriaca, mangia come un maiale, continua a chiederle soldi, fa l’università in otto anni ed è il genio. Io, quella fortunata…»
Il viso di Veronica si velò di dolore. Milva le prese la mano: «Non fare così dài, lo sai che a suo modo ti vuole bene».
«Cosa vuol dire a suo modo? - alzò la voce rossa in viso - (…) Mì, il vero voler bene è uno solo, o c’è o non c’è».
«Lei non può darti quello che non ha dentro, me l’hai detto tu stessa un sacco di volte. È una donna rigida con se stessa, prima di tutto, non puoi chiederle di manifestarti amore, non ce la fa. Magari non l’ha nemmeno ricevuto»”.
Questa scena tratta dal mio romanzo “La Forza della Resa” contiene lo scoramento che può assalirci quando, gettando uno sguardo alle feste passate, non troviamo nulla di autentico. Nei ricordi ci sono sorrisi, regali, alberi addobbati, ma nulla di quello che per noi conta davvero. Ancora una volta ci scontriamo contro le aspettative.
Quanto fanno male e quanto inutili sono nel loro raccontarci la cronaca della delusione annunciata di chi punta il dito sul fare e non fare altrui come scusa per non partire da sé! D’altronde è comprensibile: guardarsi dentro è difficile. Ma non siamo ancora stufi dei nostri pretesti di infelicità?
Se prendiamo le redini della nostra persona, ci rendiamo conto che i cavallerizzi siamo noi e che il destriero va dove lo stiamo conducendo con le briglie dei pensieri e gli speroni delle emozioni.
Veronica, nel suo sfogarsi con Milva criticando i comportamenti altrui, ha perso una grande occasione: quella di rivolgere lo sguardo dentro di sé, esaminare da osservatrice esterna i suoi anfratti di dolore e scoprire che così facendo questi svaporano e smettono di proiettare eventi sgradevoli.
Puntare il faro della nostra attenzione contro il buio del rancore o della sofferenza, lo illumina e fa scomparire. Perché basta una candela per rischiarare le nostre tenebre, ma solo noi possiamo decidere di accenderla. C’è un proverbio cinese che dice: È meglio accendere una candela che maledire l’oscurità.
Quindi?
Mano ai fiammiferi, infuochiamoci di consapevolezza e propaghiamo l’incendio nel mondo. Il mio non è un augurio da piromani, ma da indomiti ricercatori di felicità!
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#7gennaio2023
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