QUESTA, PERO', ME LA LEGO AL DITO

Non c’entra la statura, ma quello che uno ha all’interno di quel metro e cinquantotto di biologia umana, perché se lì dentro si annidano nugoli di esperienze catalogate come sconfitte, il bisogno inconscio di utilizzare un ruolo per sfogare le proprie frustrazioni, diventa incontenibile.

Ed eccoci in quinta liceo alle prese con una ragazza che per la profe Tarlo ha due colpe gravi da scontare: essere nata alta e bella. Non solo.

A volte l’adolescente, nella sua spontaneità, fa tremende gaffe, come quando riferisce all’insegnante, che di figli non ne ha, la frase pronunciata dalla vecchia maestra delle elementari in punto di morte

“L’esistenza acquisisce il suo pieno significato nella procreazione” o quando, a teatro, chiede alla profe, seduta dietro una poltrona vuota occupata dai cappotti: «Ci vede?»

suscitando nella donnina l’indignata risposta: «Va bene che sono bassa, ma non esageriamo! Questa me la lego al dito». 

A parte il fatto che ogni vita è perfetta sia con sia senza figli, la profe Tarlo, che di tarli ne aveva (come tutti del resto), patì le ‘uscite' della ragazza come lamette dolorose che le tagliuzzavano il suo proverbiale sorrisetto immobile, grondante vendetta.

Ed eccoci al dito. 

Esame di maturità.

Claudia ha fatto arrivare da Firenze un testo antico sul Sommo Poeta per arricchire la sua tesina di contenuti inediti ma, prima dell’interrogazione, la Tarlo,

facendo il gesto del filo annodato all’indice, le dice con ghigno sadico: «È arrivato il tuo turno».

La ragazza entra e inizia l’esposizione ma, dopo poco, la profe la interrompe: «Claudia, proprio non ci siamo».

La giovane va in panico e si ritrova in una battaglia ad armi impari nella quale il sadismo della donna le si riversa addosso in un‘interrogazione mitraglia foriera di una raffica di incubi notturni che la perseguiteranno per anni.

Sono in molti gli studenti che hanno subito angherie da parte di insegnanti ‘non risolti’, ma che dire della meraviglia di veri maestri entrati con cuore aperto e matita verde nelle esistenze altrui regalando, come ci racconta Milena Maggio, sostegno per la vita?

“Mia madre faceva la maestra. La ricordo di sera, dopo cena, china sullo stesso tavolo dove poco prima c’erano i piatti, a correggere i compiti dei suoi alunni.

Non usava la penna rossa per evidenziare gli errori, li sottolineava invece con un pastello verde chiaro, come le prime timide foglie di primavera. Una di quelle sere che non avevo sonno e mi piaceva starle accanto a leggere Topolino, le chiesi perché quel colore invece del rosso che usavano tutte le altre maestre.

Mi rispose senza alzare la testa da quei fogli: “È che nelle cose degli altri devi entrarci in punta di piedi, specialmente quando hai il compito di correggerne gli errori. Il rosso è un urlo, un’accusa alla quale non si può replicare. Dice ‘Tu hai sbagliato!’ con il dito puntato contro.

Il verde è gentile, come una piantina che cresce e per farlo ha bisogno di sostegno. Il verde non demolisce, sostiene”. 

Essere frecce che feriscono o rami che sostengono è una scelta cromatica quotidiana che si rinnova ogni volta che impugniamo una matita, un commento, un sorriso. Persino un pensiero.

 ACQUISTA LA RACCOLTA COMPLETA
DEGLI ARTICOLI 2020-2021 LINK

#19novembre2022
#GiornaleDiBrescia


LEGGI GLI ALTRI ARTICOLI